Marijuana da esportazione targata TI

Di Fulvio Pezzati


Discutere e ragionare sulla canapa, la materia prima da cui vengono estratti numerosi prodotti usati (fumati) come stupefacenti, non è così semplice come potrebbe sembrare, anzi è molto più complicato che parlare di eroina o di alcool, perché gli usi della canapa sono molteplici. Negli ultimi anni si è parlato soprattutto di “spinelli” e di “canne”, che sono la forma in cui la canapa viene fumata per ottenerne un effetto stupefacente.
Ma la canapa, da secoli, ha anche molti altri usi del tutto legittimi e positivi. Negli scorsi giorni mi trovavo a Marsiglia dove la strada principale si chiama la «Canebière» e collegava i campi di canapa a nord della città e il porto dove veniva trasformata in corda. Ma gli usi utili e legittimi sono molti e ben conosciuti anche in Ticino.

Più recentemente taluni studi scientifici hanno ipotizzato anche la possibilità che la canapa possegga grandi proprietà terapeutiche e che, opportunamente trasformata, possa costituire un’alternativa a molti farmaci conosciuti. L’entusiasmo in questo senso è probabilmente eccessivo e anche un po’ sospetto, si può infatti pensare che qualcuno si stia preparando a prendere il controllo del mercato della marijuana legalizzata. Tuttavia uno sviluppo in senso farmaceutico e terapeutico non può affatto essere escluso.

Se le speranze in questo senso sono probabilmente eccessive, altrettanto esagerati sembrano gli allarmi recentemente lanciati, per altro autorevolmente, alla Camera dei Lord inglesi da uno stimato baronetto e professore di farmacologia, secondo cui i danni al cervello prodotti dal fumo della canapa sarebbero molto più forti di quanto si è finora pensato: la marijuana sarebbe un autentico «bruciacervello». Altri studi anche in Svizzera, molto poco pubblicizzati quando non deliberatamente nascosti, hanno comunque già evidenziato negli scorsi anni, che i pericoli e le conseguenze del fumo sono molto maggiori di quanto qualcuno interessato vuol far credere.


Un’opinione pubblica spaccata

Non bastassero questi problemi con le proprietà intrinseche del prodotto, non è migliore la situazione dal punto di vista del pensiero dell’opinione pubblica, che appare quanto meno divisa. Infatti una parte, probabilmente maggioritaria nei mass-media, in molti ambienti intellettuali e anche in certi settori politici, specialmente svizzerotedeschi, ritiene che il fumo della canapa non sia poi così pericoloso o addirittura non sia pericoloso affatto. Nella migliore delle ipotesi questa parte ritiene che il fumo della marijuana possa essere combattuto meglio rinunciando a punirlo e contrastandolo invece sul piano culturale e della mentalità, ciò che significa in pratica ampie e costose campagne per convincere in particolare i giovani, che gli spinelli fanno male nonostante che potranno essere liberamente venduti e consumati. Su questa posizione si è schierato anche il Consiglio federale e in particolare Ruth Metzler.
Un’altra parte importante dell’opinione pubblica pensa invece che occorra combattere il fumo della canapa senza ambiguità, indicando chiaramente che si tratta di un male.

Questa spaccatura culturale e di mentalità non può che rendere più difficile l’applicazione di qualsiasi legge, in mancanza di quell’ampio consenso sociale necessario al suo buon funzionamento.
Il compito del legislatore appare dunque particolarmente complesso e ancora di più lo è in un paese federalista come la Svizzera, dove occorre tenere conto dei diversi livelli di competenza. In questo caso poi bisogna considerare anche il livello internazionale. Se infatti è difficile essere restrittivi in un mondo permissivo, le conseguenze dell’essere permissivi in un mondo più restrittivo sono anche peggiori. E questo lo sappiamo bene in Ticino avvezzi come siamo da secoli a ogni forma di contrabbando e di sfruttamento dell’effetto frontiera. Abbiamo lucrato sulla benzina, sulle sigarette, sul segreto bancario, lo faremo anche sulla canapa? Lo sviluppo dei canapai in Ticino è solo un’anticipazione dell’eventuale «Alleingang» della Svizzera nella liberalizzazione della canapa. I corollari di questa scelta sono ben noti: guadagni facili e sviluppo di varie forme di criminalità. L’esempio recente della prostituzione è illuminante. Al di là di qualsiasi giudizio morale o addirittura moralistico le conseguenze criminogene dello sviluppo abnorme e indiscriminato della prostituzione in Ticino, sfociate persino in omicidi, sono sotto gli occhi di tutti.


Liberalizzazione e commercio

La situazione di incertezza attuale è quanto di peggio vi possa essere. Il Consiglio Federale ha proposto la liberalizzazione dell’uso della canapa, ma il parlamento (e il popolo) non l’hanno ancora approvata, ma questo non è chiaro per tutti e molti pensano che la «mary» sia ormai libera. Inoltre i contorni di questa liberalizzazione non sono proprio chiari: come e dove potrà essere venduta la canapa? Quali saranno le misure a tutela dei minori? Si faranno le solite campagne alle quali gli adolescenti sono sostanzialmente impermeabili, come dimostrano le campagne contro il fumo e i pericoli delle sigarette? Non è poi difficile prevedere che, come successo per l’alcool e per le sigarette, anche la canapa verrà caricata di tasse con tutte le conseguenze conosciute.
Nel conteso svizzero poi la situazione ticinese appare ancora più particolare. Dapprima si è assistito allo sviluppo dei canapai per i quali c’è stato un vero proprio boom. Ovviamente nessuno è così ingenuo che questo sviluppo sia stato determinato dalla passione dei ticinesi per le borse e le camicie di canapa, nemmeno dal mercato interno degli stupefacenti. Come sempre negli ultimi secoli della nostra storia l’effetto frontiera è determinante. Poi si è riscopertine/coperta la coltivazione e la canapa è diventata un nuovo Eldorado. Chi ha saputo giocare le sue carte sta ottenendo guadagni straordinari: soldi facili ai quali sono solitamente legati problemi più o meno grossi. Soldi sulla pelle soprattutto dei giovani.
Lo Stato ticinese non poteva ovviamente stare guardare e fortunatamente non l’ha fatto intervenendo lungo due assi, sollecitato anche da numerose petizioni e raccolte di firme.. Dapprima magistratura e polizia hanno cercanto di reprimere almeno i fatti più gravi punendo in particolare i canapai che più scopertine/copertamente violavano la legge. E non si pensi che comunque la canapa poteva essere comprata dagli spacciatori. L’esistenza di luoghi così facilmente accessibili e con una patina di legalità, come sono i canapai, non può non incrementare grandemente il mercato.
Poi è stata la volta del legislatore, i cui limiti di intervento sono però quelli illustrati sopra: gli usi molteplici della canapa impediscono di proibirne puramente e semplicemente la produzione e la vendita, ma poiché spesso non è facile distinguere l’uso lecito da quello illecito il compito è piuttosto difficile. Per i canapai è assai semplice giocare sull’ambiguità.


Una nuova legge

Con la nuova legge sulla vendita e sulla coltivazione della canapa, che comunque non potrà entrare in vigore immediatamente, perché, dopo che è fallito il referendum è stato interposto un ricorso al Tribunale federale, che avrà almeno un effetto defatigatorio, il Ticino, nei limiti che gli concedono la Costituzione e le legge federali, cerca di regolamentare il mercato. In pratica i canapai non potranno essere aperti nelle vicinanze di luoghi sensibili, per esempio le scuole e i centri giovanili, e i gestori dei negozi non dovranno aver subito condanne per abuso o commercio di stupefacenti. Poiché la canapa è una sostanza, che può essere pericolosa, a chi la commercia si richiedono dei requisiti accresciuti. Inoltre le coltivazioni di canapa dovranno essere annunciate, anche se non richiedo autorizzazione. Il coltivatore dovrà però essere in grado in qualsiasi momento di dimostrare che ne fanno un uso lecito, sotto pena di confisca e distruzione.
Il funzionamento della legge dipenderà in gran parte dalla volontà dei Comuni, cui spetterà definire le zone dove la canapa non può essere venduta. Ma già attualmente, prima che la legge entri in vigore, possono intervenire facendo rispettare il divieto di coltivazione (indoor, cioè all’interno) in zona residenziale.
Manca un ultimo asse di intervento che spetta alla Stato, ma anche e soprattutto alla società civile tutta, che è quello culturale e educativo. Senza un grosso sforzo in questo senso tutto l’apparato giudiziario e legislativo rimarrà un’arma utile e necessaria ma spuntata. In questo il ruolo degli opinion leader, delle famiglie, della scuola, delle associazioni, in pratica di ognuno, è fondamentale.